Cappella della Madonna dell'Uva
Sito n.47 del Museo Diffuso
XX secolo
La Cappella sorge lungo la strada vecchia per Ranco, poco dopo l’incrocio con via Bologna, in una parte della città chiamata Altinada, nell’area un tempo occupata dalla chiesa di San Cassiano. La zona ha restituito importanti reperti archeologici, tra cui l’urna di Calventia Virilliena esposta nel Lapidario del Museo Archeologico , di Via Marconi 2 ad Angera.
Il dipinto mostra la Madonna stante, avvolta da un manto azzurro e coronata di stelle, che tiene in braccio il piccolo Gesù. Il Bambino tiene in mano un grappolo d’uva, che ricorda l’importanza della viticoltura nel territorio angerese.
La Cappella e il dipinto vennero restaurati nel maggio 1995 per volontà degli abitanti del Rione, dei Fratelli Giombelli, del C.A.I. di Sesto Calende, della Compagnia Teatrale Isprese, della ProLoco e dell’Amministrazione comunale.
Le devozioni per la protezione delle vigne
La salute delle vigne era molto cara alla comunità, tanto da dedicare ad essa alcune devozioni particolarmente articolate, ricordate dai documenti secolari dei Diari Capitolari della Canonica di Angera.
Un documento del 1712 ci racconta che anticamente le vigne di questo Borgo erano frequentemente infestate da animali nocivi ed in particolare dalle garzette, con danni notevolissimi alle nostre vendemmie e alle viti. Il riferimento alla garzetta risulta piuttosto anomalo. Si tratta infatti di un uccello acquatico assai simile all’airone, che può popolare in estate i nostri laghi, ma che si ciba prevalentemente di pesci, anfibi e rettili, più che di frutta; il nome potrebbe pertanto fare riferimento piuttosto alle gazze o ancor meglio a qualche fattore dannoso, insetti o muffe, che lasci filamenti bianchi simili a garzette.
Di qualunque infestante si tratti, doveva in ogni caso procurare grande preoccupazione; i reggenti della Comunità di Angera decisero allora di procurarsi dalla Santa Sede Apostolica una Solenne Benedizione. La ottennero nel 1681, ma non venne messa in esecuzione. Successive richieste e il pagamento di tutte le spese necessarie da parte della Comunità permisero di ottenere, nel 1712, la benedizione papale, l’assoluzione e l’indulgenza plenaria. Tali funzioni venivano celebrate la terza settimana di aprile, dopo tre giorni di digiuno, e seguite da una processione solenne. Il popolo veniva invitato a prepararsi con particolare sentimento di pietà e devozione. Nel giorno di mercoledì, primo del digiuno triduano per l’indulgenza, il popolo e le confraternite compivano una processione di suffragio ai defunti presso il vecchio Lazzaretto, detto Prato dell’Ossi vicino alla riva del lago, dove distendevano il tappeto nero da morte con quattro torce e cantavano l’antifona ambrosiana “usque in vita mea (laudavi te Domine)”, litanie ed orazioni dei defunti, che proseguivano fino al ritorno in Collegiata. Il giorno seguente il popolo e le confraternite compievano una processione alla chiesa di S. Vittore, nel Borgo, oggi sconsacrata. Qui il capitolo cantava l’inno “Vexilla Regi” e l’orazione “Passione Domini”; di ritorno si cantava lo “Stabat mater” e altre preghiere della Passione, cui seguiva l’orazione del predicatore della Compagnia di Gesù. Il terzo giorno di digiuno si andava in processione a cantar messa alla chiesa della Beata Vergine dei Miracoli; seguivano le confessioni. Domenica era il giorno della benedizione papale, letta in latino e in volgare dopo canti solenni con i musici. Si usciva poi in processione, tra canti per i defunti, “de Profundis“ e “Miserere” si girava attorno alla chiesa mentre il Prevosto faceva l’aspersione, ci si fermava in mezzo alla Piazza, ossia al Cimitero davanti alla chiesa, e ci si avviava fuori dalla Porta di Santa Caterina verso la Croce detta del Prato del ponte. È possibile si faccia qui riferimento al ponte per superare il fossato individuato sul lato orientale del borgo; uno scavo degli anni ’90 ne mise in luce antichi resti proprio all’incrocio con via Cadorna. La processione proseguiva lungo la strada varesina, presso il luogo di San Michele , verso Uponne e da lì a Ranco; si tornava ad Angera lungo la strada delle Vigane, nella selva detta del Fornetto. La processione si dirigeva quindi verso Angera giungendo alla Cappelletta della Beata Vergine della Pace. I fedeli in processione e i musici intonavano allora il “Te Deum laudamus” e il Prevosto terminava la funzione con una esortazione al popolo, che interveniva in gran numero, sperando di ricevere da Nostra Signora la grazia desiderata per le vigne e la vendemmia.
La Comunità di Angera procurava la cera necessaria, l’apparato della Festa patronale, sei musici, tra cui l’organista, gli altari, il compenso per i ministri del culto, i paramenti, l’incenso ed altro necessario alla funzione.